«Caro Gigi, Carlo Levi diceva che il futuro ha un cuore antico. Spesso tu mi hai chiesto: chi eravamo? Poi il tempo fuggiva sempre, e forse non ho mai saputo essere esauriente. Così ti ho scritto queste note. […] Più che una memoria, è un lungo racconto che attraversa sessant’anni di vita.»
Comincia così il libro che Cesare Roccati scrive per raccontare al figlio la sua vita – «vissuta con tanta gente e come tanta gente». Una memoria personale – l’infanzia di provincia, la vita nel dopoguerra a Chieri, 12.000 abitanti e 12 chiese, la varia umanità del caffè di paese, – e una storia collettiva – la Fiat, l’autunno caldo, la Gazzetta del Popolo, l’autogestione, il sindacato, La Stampa, l’arte – con lo sguardo sempre rivolto all’altro, a chi con lui ha fatto o a chi con lui ha assistito a quanto accadeva.
Dopo una vita spesa nelle redazioni dei giornali, sul fronte dell’economia, dove con le parole di Luigi Ciotti «Cesare trasformava i numeri nella carne delle persone», l’uomo che coltivava conchiglie era tornato tra le sue antiche colline, col passo lento di chi conosce la terra, per modellare legno da dipingere e trasformarlo in un’avventura, in una denuncia o nelle pagine di un giornale immaginario.
Con i contributi di: Luigi Ciotti, Marco Zatterin, Olga Gambari, Gigi Roccati, Luciana Santaroni.
Per Roccati il giornalismo era il rovescio del cinismo: informazione e pulizia, etica e passione, orgoglio e calore.
Cesare Martinetti