11 luglio 2024

Di velocità, oggetti reali e mondi immaginari: intervista a Antoine Cossé

L’intervista ad Antoine Cossé a cura di Emilio Cirri su Lo Spazio Bianco.

Ciao Antoine e grazie per aver accettato di fare questa intervista. Prima di parlare del tuo lavoro, in particolare di Metax, vorrei iniziare a parlare del percorso che ti ha portato qui: quando hai deciso di fare fumetti e quali sono stati i passi che ti hanno portato a questa carriera?
Il fumetto è una cosa strana per me. È quasi sempre stato presente. Ho iniziato a fare fumetti da piccolo, a 9 o 10 anni. Prima di allora copiavo molti dei fumetti che leggevo, e a un certo punto credo di aver deciso di farne di miei. Poi, come tutte le cose che si fanno da bambini, ho smesso di farlo per un po’. Invece mi sono dedicato alla musica. Non ho fatto nulla nemmeno quando ho iniziato a studiare arte. Ho ricominciato quando ho lasciato la scuola d’arte. Forse questo la dice lunga sull’educazione artistica in generale, a dire il vero.

Da un punto di vista narrativo e grafico, quali sono stati gli artisti e le artiste che ti hanno influenzato di più, soprattutto all’inizio? E chi sono quelli contemporanei che osservi con maggiore interesse?
Quando ero bambino, i fumetti francesi e belgi erano molto tradizionali. I miei genitori non leggevano fumetti, ma mia madre ce li comprava, una cosa molto francese. Così divoravo Tuniques Bleues, Tintin, Asterix, Joe et Zette, Spirou. Li adoravo.
Poi ho ricominciato a fare fumetti verso i 23/24 anni, dopo aver scoperto gli indie americani, come Sammy Harkham, Robert Crumb, Julie Doucet, Chris Ware. Ora che sono pubblicato in Francia e in Europa, e che ho girato un po’ di più, ci sono molti più fumetti europei nelle mie influenze, oltre a quelli americani. Manuele Fior, Anna Haifisch, Joe Kessler.

Parlando della tua carriera, trovo interessante che tu sia francese, quindi nato in quella che possiamo definire la patria europea del fumetto, ma che il tuo percorso ti abbia portato in Inghilterra. Cosa ti ha spinta in questa direzione?
Sono partito per frequentare una scuola d’arte a Londra quando avevo 20 anni e non sono più tornato. Quindi la mia carriera è iniziata in Inghilterra, e poi i miei fumetti sono stati pubblicati in Francia e alcuni dei miei libri sono stati pubblicati in francese. Ma prima li scrivevo comunque in inglese.  Ora, improvvisamente, mi ritrovo di nuovo a vivere in Francia e li scrivo in francese.

I tuoi primi lavori erano fumetti autopubblicati: cosa ti porti dietro da quell’esperienza?
Prima dei social media, fino al 2006, dovevi andare in un negozio di fotocopie, stampare i tuoi libri e cercare di venderne qualcuno nella fumetteria della tua città.  Non so se sia meglio di adesso, ma credo che ti permetta forse di fare più errori. Mi dispiace molto per i giovani artisti di oggi, perché la fase di prova ed errore sta probabilmente scomparendo: devi affrontare l’immediatezza del giudizio come parte integrante del tuo sviluppo artistico, ed è folle.  Ma, a dire il vero, ricordo anche di non aver gradito il self publishing. Non sono una persona che ama l’artigianato e la realizzazione del proprio libro in ogni suo dettaglio è sempre stata molto dolorosa per me. Quindi c’è del buono e del cattivo nell’autoproduzione, almeno per la mia esperienza.

In seguito, i tuoi primi libri più lunghi (Mutiny Bay e Showtime) sono stati pubblicati da Breakdown Press, una piccola casa editrice indipendente molto conosciuta nel campo della microeditoria, così come il suo fondatore, Joe Kessler. Come è nata questa collaborazione e quanto è stato importante per te interfacciarsi con questa realtà e con Joe Kessler stesso?
Io e Joe abbiamo giocato a basket insieme per un po’ prima di capire chi eravamo. Credo che le nostre carriere siano cresciute insieme e siamo amici, quindi è una cosa molto bella. Adoro i suoi fumetti.
Quando abbiamo iniziato eravamo tutti appassionati degli stessi fumetti, ma i nostri libri erano molto diversi, quindi è stata una bella spinta collettiva, a cui hanno partecipato anche i nostri amici Richard Short, Liam Cobb e molti altri. Inoltre, all’epoca c’era una scena particolare per i fumetti indie, che era molto stimolante. Sono felice di aver  avuto questa esperienza all’inizio del mio percorso, perché ho sempre lavorato con amici ed è stato emozionante. Ora siamo in una fase diversa della nostra carriera, quindi pubblichiamo libri in altri luoghi, ma non e’ detto che non ne pubblicheremo in futuro sempre con Breakdown.

Arriviamo a Metax, il tuo lavoro più recente, già pubblicato in tutto il mondo da alcuni dei più importanti editori di fumetti (Cornelius in Francia, Edition Moderne in Germania e soprattutto Fantagraphics nel mercato anglosassone) e ora in Italia da Add Editore. Una storia che mescola temi a te cari: ambiente, animali, magia e illusione onirica, ma anche una critica al sistema sociale attuale. Innanzitutto, come è nata l’idea dell’opera?
L’idea iniziale mi è venuta guardando i video delle esplosioni minerarie su youtube, nel 2018. Volevo scrivere la storia di un uomo schiacciato da forze diverse che erano fuori dal suo controllo. Ho iniziato a lavorare al libro e il Covid ha colpito, così ho finito il libro. Quindi credo che proprio per questo i temi di cui tu parli si siano imposti, come dire, in maniera molto spontanea su questo libro!

Il Metax, la risorsa su cui si basa la fortuna della città di Ronin, ricorda molto la spezia di Dune e, in generale, è una riflessione sullo sfruttamento delle risorse su cui si basa il capitalismo stesso.  Il romanzo di Frank Herbert ti ha ispirato in qualche modo?
Non avevo letto il libro, quindi non ha influenzato la mia opera. Ma mi è piaciuto molto il primo dei due film, devo vedere il secondo!

Una cosa molto interessante per me è la presenza di giovani “terroristi” che si oppongono allo sfruttamento delle risorse e di una vecchia generazione che non sa trovare alternative. In alcuni casi l’opposizione è davvero forte: con alcune chiare differenze, ma mi ricorda la forte di protesta che giovani come Greta Thunberg o i ragazzi di Last Generation stanno facendo in questo momento. In questo senso, il tuo fumetto mi è sembrato molto in linea con i tempi, in alcuni casi quasi anticipatore, visto che è uscito qualche anno fa: come hai lavorato su questi temi e su questi personaggi?
Penso che gli artisti siano un po’ come gli sciamani: osservano la società in cui vivono e sono un ricettacolo di tutti i suoi problemi e sfide, che riformulano al meglio. Se sei un buon artista, riesci a fare proprio questo. Non è necessario disegnare cose drammatiche, ma l’atmosfera generale del fumetto sarà percepita in un certo modo. Quindi tutti i temi di Metax erano intorno a me in quel momento. Ora forse sembrano un po’ scontati, ma all’epoca in cui ho realizzato il libro mi sembravano molto estranei a ciò che stavo vivendo.

Anche l’aspetto di questi ragazzi è interessante, soprattutto perché assumendo le pillole si trasformano in uccelli: perché questa scelta?
Mi piace l’idea della trasformazione, della mutazione. C’è una fluidità nel disegno che mi affascina e che mi interessa sempre esplorare.

In generale, da dove nasce il tuo interesse per il disegno di animali, cosa non nuova nel tuo lavoro (penso a NWAI, per esempio)?
Amo disegnare gli animali. È una delle cose più difficili e soddisfacenti da disegnare, quindi più sono meglio è! Sono intrinsecamente divertenti e puoi farli parlare, puoi farli percepire e sentire, e poi sono sempre con noi: viviamo l’uno accanto all’altro e in qualche modo è possibile utilizzarli nella narrativa. Quindi lo faccio, semplicemente.

Parlando del tuo stile, nel corso degli anni hai sviluppato un tratto sempre più sinuoso e hai iniziato a eliminare gradualmente la griglia delle vignette optando per una gestione più sciolta della pagina, definita da contrasti tra bianchi e neri. Ogni elemento (personaggi, oggetti) è definito quasi esclusivamente come una silhouette, con l’aggiunta di grigi che danno un tocco di leggerezza, indeterminatezza e mistero: come hai lavorato al tuo stile specificamente per questo fumetto?
Beh, sono molto influenzato da tutti gli artisti del manga Garo e ho rubato molto da loro. Spesso in questi fumetti c’è una velocità e un movimento che sfuggono alla griglia. Hayashi, Tsuge, Yukoyama, Mizuki. Un mix di tutte le influenze di cui ho parlato sopra mi ha dato questo stile fluido. Ma lo stile deve sempre essere al servizio del libro, della sua storia. Molto del fumetto riguarda la libertà e il non seguire le regole. Al tempo stesso però hai una griglia, è la tua variabile, quindi puoi giocare con essa.

Una cosa che mi ha incuriosito, e che lega questo lavoro al tuo precedente,  Showtime, è l’attenzione che dedichi ai veicoli in movimento (auto e moto in questo, in Showtime la parte principale della storia si svolge in un’auto). Come mai questa scelta, anche in questo fumetto dove l’azione principale è in realtà altrove, non strettamente legata ai veicoli? Sembra quasi uno studio sul movimento, quasi un riferimento a qualche avanguardia del Novecento come il Futurismo, ma anche un legame con i manga.
In realta’ deriva tutto dal fatto che credo che, di fronte a un mondo così digitale, ci sia qualcosa di molto rassicurante nel disegnare oggetti fisici, nel lavorare sulla realtà delle cose, nel descrivere gli oggetti. Il fumetto è questo per me, è una rappresentazione della realtà. E la realtà è fatta di automobili, telefoni, biciclette, treni, aerei. Nei fumetti l’idea del tempo è molto soggettiva per il lettore. È un trucco del ritmo. Il lettore guarderà un veicolo che si muove in un paesaggio dandogli un suo tempo, immaginandone il movimento a modo suo. E poi devo dire che disegnare oggetti e veicoli è una cosa molto difficile e soddisfacente da fare.

Abbiamo parlato del tuo lavoro con il bianco e nero, che qui è molto elaborato ed elegante. Ma, a un certo punto, il colore entra prepotentemente nel fumetto e le silhouette assumono un rilievo ancora maggiore, soprattutto in alcuni passaggi molto poetici. Inoltre, nel finale, il colore per me ha un’ambivalenza: da un lato c’è la distruzione, probabilmente la fine di un vecchio mondo, ma da questa distruzione mi sembra che nasca la speranza. Era questo che volevi trasmettere?
Non sono pessimista e penso che la vita sia molto sorprendente in generale, quindi mi piace l’idea della speranza. Disegnare in bianco e nero è fisicamente diverso dall’applicare il colore. Il colore solleva quasi tutto, cambia l’atmosfera in meglio, almeno per me.

L’ultima domanda riguarda il tuo futuro: a cosa stai lavorando attualmente?
Ho appena terminato un nuovo libro che uscirà con Cornélius in Francia l’anno prossimo. Poi ho altri due libri in lavorazione e altri progetti non a fumetti.

Qui potete trovare l’intervista completa su Lo Spazio Bianco: https://www.lospaziobianco.it/di-velocita-oggetti-reali-e-mondi-immaginari-intervista-a-antoine-cosse/

Vai al libro: https://www.addeditore.it/catalogo/antoine-cosse-metax/

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