Sette domande a Olivier Van Beemen
Il 6 settembre 2019, Olivier Van Beemen, giornalista olandese e autore di Heineken in Africa. La miniera d’oro di una multinazionale europea è stato intervistato in occasione dei Vital Talks. Proponiamo questa intervista in occasione dell’uscita in Italia del libro. Qui il link all’intervista originale in inglese uscita su Vital Strategies il 23 ottobre 2019.
1. Come funzionano le pratiche di marketing dell’industria dell’alcool in Africa?
In Africa le multinazionali spesso affrontano una regolamentazione poco restrittiva quando si tratta di marketing, cosa che offre un’opportunità quasi illimitate di commercializzare i loro prodotti. A Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, ho visto interi quartieri dipinti nel colore del marchio principale di Heineken, Primus. Non stiamo parlando solo di bar e punti vendita, ma anche di farmacie, barbieri, una stazione di polizia e uno scuolabus, tutti con il logo del marchio. In Africa, Heineken utilizza anche indicazioni controverse sulla salute per promuovere il suo prodotto: sostiene che la birra faccia parte di uno stile di vita sano, che prevenga le malattie e che un consumo moderato allunghi la vita. In Nigeria hanno organizzato diverse conferenze su birra e salute per diffondere questo messaggio. In una conferenza, si è detto che un consumo moderato equivale a circa 1,5 litri di birra al giorno.
2. Rispetto all’Occidente, come cambiano le tattiche utilizzate dall’industria dell’alcool nei paesi africani?
Una grande azienda può mostrare il suo vero carattere in Africa, me ne sono accorto documentandomi per scrivere il libro. Anche in Occidente le multinazionali chiedono maggiore autoregolamentazione e spesso sottolineano i loro sforzi per la sostenibilità. Ma in Europa e Nord America, di solito hanno a che fare con leggi e forze dell’ordine, cani da guardia (ONG, stampa) e un pubblico critico. Questi pesi e contrappesi, tutt’altro che perfetti in Occidente, in Africa non esistono o quasi. Ciò significa che le aziende possono correre più rischi e spesso scoprono di cavarsela con reati minori. Quando ho scoperto l’uso sessuale di giovani donne per promuovere la birra in Africa, il CEO di Heineken ha riconosciuto che tale pratica in Europa occidentale sarebbe inaccettabile. Ma ha sottolineato le “differenze culturali” e ha affermato che considera #MeToo un “fenomeno occidentale”.
3. Che cosa svela il suo libro?
Una negligenza strutturale, prolungata, in molti Paesi che ho visitato. Che non è solo un comportamento aziendale immorale. Sulla base delle mie scoperte, Heineken potrebbe essere definita complice di crimini contro l’umanità, crimini di guerra. Ha avuto un ruolo nel genocidio del 1994 in Ruanda. In Burundi, un paese sotto una spietata dittatura e dove la tortura è una pratica comune, il denaro delle tasse di Heineken serve a pagare i dipendenti pubblici che commettono i crimini contro la propria gente: agenti di polizia, soldati e agenti dei servizi segreti. Heineken sa che di cosa si sta macchiando, ma non agisce. E non dimentichiamo che in Burundi, il presidente del consiglio di amministrazione di Heineken è anche uno dei giudici più importanti di quella nazione.
4. Heineken è diventato più di un semplice marchio in Africa. Cosa significa? Com’è successo?
Nei Paesi Bassi sappiamo che Heineken è una birra media: buona ma niente di speciale. Sono il marketing e la narrazione che l’hanno reso un marchio “premium” per il quale le persone in tutto il mondo sono disposte a pagare un prezzo più alto. Hanno fatto qualcosa di simile in Africa: usano slogan come “Crescere insieme in Africa” e fanno credere alle persone che contribuiranno alla crescita economica e allo sviluppo nelle nazioni ospitanti, mentre la mia indagine mostra l’opposto. Ma a molte persone piacciono le favole e alcuni governi, come il mio, la considerano una situazione vantaggiosa per tutti. Il successo commerciale di Heineken è positivo per l’economia olandese e i funzionari sostengono che sia positivo anche per l’Africa. Pertanto, il nostro governo sta sovvenzionando alcuni degli investimenti di Heineken in Africa.
5. Perché ha deciso di concentrarsi su Heineken?
Innanzitutto, il loro quartier generale si trova a 10 minuti in bicicletta da casa mia, quindi è facile tenerli d’occhio… Scherzi a parte, penso che sia meglio sapere molto su una società piuttosto che poco su molte. Il mio libro è un caso di studio di una multinazionale in Africa. Se si fa un’indagine approfondita su altre grandi aziende che operano nei Paesi in via di sviluppo o emergenti, probabilmente emergeranno molte somiglianze, soprattutto se si guardano i concorrenti diretti di Heineken in Africa: AB Inbev, Diageo e Castel.
6. Che ruolo può svolgere il giornalismo nel raccontare l’industria dell’alcool e le sue tattiche?
Il giornalismo può e dovrebbe svolgere un ruolo importante nel raccontare qualsiasi settore e le sue tattiche, a maggior ragione se il core business di un determinato settore è dannoso per le società. Sfortunatamente, le aziende spendono sempre più soldi per la comunicazione (vogliono “controllare la narrazione”), mentre il numero di giornalisti diminuisce. Ciò significa che i giornalisti devono lavorare ancora di più e dovrebbero essere più motivati nella ricerca della verità.
7. Qual è stata la difficoltà più grande che ha incontrato?
Una delle maggiori difficoltà è l’eccellente reputazione di Heineken. Non è solo un’azienda potente con forti legami con il governo, ma anche un’azienda che piace a molte persone, soprattutto nei Paesi Bassi. Visto che porto cattive notizie, da molti sono considerato come quello che sta rovinando la festa. Heineken è riuscita a creare questa grande narrazione di un’azienda di successo commerciale che porta gioia e crescita sostenibile in Africa e per molti è difficile accettare che per gran parte questo sia un mito.