
Il potere democratico è la grande arma europea contro la tecnocrazia: l’intervista ad Asma Mhalla
L’intervista ad Asma Mhalla a cura di Simonetta Sciandivasci su La Stampa.
Meta, Google, Amazon, Tesla, X, Space X sono i nuovi grandi della terra?
Sono attori economici, sociali, politici e ideologici: gli algoritmi non sono soltanto intrisi di pregiudizi. Sono costruiti deliberatamente secondo un disegno ideologico. Al culmine del capitalismo, sono al contempo l’infrastruttura e la sovrastruttura: sono entità che sconvolgono il mondo fisico e l’economia, così come il cyberspazio, che è l’ultimo spazio di creazione di ricchezza e conflittualità: la quinta dimensione, per conquistare la quale ci trasformano sin da ora in soldati dei loro eserciti colonizzatori.
Al culmine del capitalismo ha concorso il capitalismo della sorveglianza?
Certo. Hanno fornito gli strumenti necessari al nuovo ordine: algoritmi, piattaforme, infrastrutture fisiche di ricezione o fabbricazione dei dati.
Perché tutti i mezzi che avrebbero dovuto e potuto allargare la democrazia, l’hanno compromessa?
Nel secolo scorso, la grande utopia che sovrintendeva la nostra idea di internet era l’abbattimento dei confini e il miglioramento dell’accesso alla conoscenza in senso democratico e, di più, universale. Vent’anni fa, però, Google, Apple, Facebook, hanno creato grandi piattaforme private. E così, la rete è diventata dominio di privati che se la contendono e spartiscono. Il problema delle Big Tech non è tanto la tecnologia che usano, quanto il fatto che la usano per scopi privati, perché sono entità ibride: sono privati che acquistano servizi, infrastrutture e mezzi pubblici. Noi facciamo ci prestiamo ai loro bisogni, i nostri dati li alimentano.
Oggi sarebbe immaginabile un uso di X come quello che si fece di Twitter durante la Primavera Araba, nel 2010?
Temo di no. In quell’occasione il termine tecnopolitica venne usato per la prima volta per dire che attraverso i social media era possibile organizzare una lotta civile. Oggi, per me, tecnopolitica è la parola che meglio descrive il legame tra tecnologia e potere. Le nuove tecnologie creano dei bias cognitivi, ci raggruppano in micro comunità di persone che la pensano allo stesso modo e anziché confrontare le proprie idee, semplicemente le confermano: all’origine, però, di chi sono quelle idee? Semplice: sono di chi crea quelle tecnologie. Ecco perché la tecnologia non è mai neutrale ed è ingenuo, oltre che pericoloso, pensarlo. La tecnologia è fatta da esseri umani, e li rispecchia: tecnopolitica, allora, è un concetto che descrive anche la simbiosi tra tecnologia e politica.
Che ruolo attribuisce alla PayPal Maphia nella creazione di questo concetto?
Non credo che abbiano avuto un ruolo attivo diretto, ma sono la più limpida prova di come si possa usare la tecnologia per avverare la propria idea di mondo. Quando Elon Musk ha comprato X per milioni di dollari, lo ha fatto per avere un’arma ideologica e forse anche per creare un nuovo tipo di mass media che controllasse l’opinione pubblica e l’agenda politica: un esempio perfetto di tecnopolitica.
Della simbiosi tra big tech e stato cosa pensa? Che rischi ha?
La distruzione delle nostre libertà civili. Si sta creando un iper potere che non ha contrappesi: negli Stati Uniti ci sono ancora i giudici, la società civile e la stampa, ma non sono efficienti né sufficienti: l’iperpotere delle big tech è più grande del loro. Ed è spaventoso e affascinante osservare come le bigh tech non ammutoliscano i contrappesi: semplicemente, li fanno sparire, è come se li coprissero. L’informazione non viene censurata o manipolata: vengono manipolate le persone che ne fruiscono.
In che modo?
Vengono indotte a dubitare di tutto. Hannah Arendt ha scritto che il problema delle bugie in politica è che le portano a non credere più a niente, ed è allora che si spalanca la strada all’autoritarismo.
L’autoritarismo cinese è diverso da quello americano che sta profilandosi?
Nella corsa all’intelligenza artificiale, sono quasi pari. Chi vincerà la sfida costruirà il nuovo ordine globale, perché uno dei modi per misurare la capacità di leadership è l’autorità militare, e per avere il migliore esercito possibile, i sistemi Ai bisogna averli adesso, per calcolare velocemente, raccogliere tutti i dati disponibili sul campo di battaglia. Per raggiungere un simile risultato bisogna avere accesso a chip di ultima generazione, ed è il motivo per cui i chip, proprio come i sistemi Ai, sono al centro della rivalità tra Cina e Usa. A gennaio, Donald Trump ha annunciato il progetto Stargate: 500 miliardi di dollari in cinque anni per sviluppare una grande joint-venture OpenAI, Microsoft, Softbank, per rafforzare l’infrastruttura energetica necessaria a far funzionare l’industria Ai. Due giorni dopo l’annuncio di Stargate, la Cina ha annunciato il progetto DeepSeek: una start-up cinese che sostiene di aver creato un modello di Ai generativa efficiente come OpenAI e ChatGPT e che per svilupparlo servono meno di cinque milioni di dollari, quindi molto meno di quanto Trump ha detto che spenderà. Magari hanno mentito, ma intanto abbiamo la misura della competizione in atto.
L’Europa che può fare?
Deve decidere da che parte stare e come porsi e vivere tra questi due giganti.
Dovremo scegliere tra questi due modelli?
Dobbiamo creare una terza via: la nostra. Dobbiamo lavorare sulle nostre strategie industriali e tecnologiche a livello globale, sviluppando una strategia che sia una via di mezzo, che si inserisca in una sua nicchia, perché non possediamo gli stessi mezzi che hanno loro. Però abbiamo la democrazia, e l’amore per la verità: vanno difese e ripensate, riadattate.
Lei propone la figura del big citizen.
È un cittadino che sa di essere un soldato che combatte in una guerra ibrida, invisibile ma costante. Perché tutte le tecnologie hanno un impiego civile esplicito e uno militare non esplicito.
Qui l’intervista completa su La Stampa.
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