Risulei, chimere, e NapoliTopor: l’intervista a Tonino e Fulvio Risuleo
L’intervista ai Risulei, Tornino e Fulvio Risuleo, a cura di Virginia Tonfoni su Il Manifesto.
Nel fumetto raccontate l’incontro di Fulvio bambino con l’opera di Roland Topor, che avviene quando Antonio, licenziatosi dall’agenzia di pubblicità dove lavora, rimane a casa e propone al figlio malato di varicella proprio un gioco da tavola ideato e firmato dall’artista francese. Il racconto mischia quindi elementi di realtà con altri di invenzione?
Antonio Risuleo: Sì e c’è un parallelo anche tra Roland e Nicolas, il figlio che vediamo con Topor a Napoli, anzi si tratta di tre generazioni, perché anche il padre di Roland, Abraham era un artista. Roland aiutò suo padre a fare la sua prima mostra di artista, un po’ come Fulvio che mi ha fatto pubblicare un fumetto a 70 anni. Non nasco come disegnatore di arte sequenziale, sono un grafico. Ma concentrarmi su questo lavoro mi ha dato notevoli stimoli.
Fulvio Risuleo: Papà disegna da sempre, ogni giorno: prima lavorava all’agenzia, come si racconta nella storia, poi ha avuto un’edicola, ha fatto il fornaio, ma ha sempre disegnato. A differenza mia non ha l’ossessione di pubblicare, di far vedere i propri lavori. Quindi dal mio punto di vista la maggior parte dei suoi disegni era sprecata. È vero che è il suo primo graphic novel ma è autore di centinaia di fumetti, che sono a casa. Volevo che tutti vedessero cosa poteva raccontare con le immagini. Abbiamo trovato un punto d’incontro in Topor, e il libro ci ha permesso di mischiare ricordi di vita e le riflessioni fatte insieme sull’autore.
Perché la storia è ambientata a Napoli?
A.R. Topor amava Napoli, lì ha fatto la sua ultima mostra. La «nostra» storia, la ricerca del passaggio dell’artista, è ambientata in un’isola ovviamente rappresentata con molta libertà, mistificata, un po’ descritta come Cajola, ma con i limoni di Procida.
F.R. Dopo che ho girato Notte fantasma (2022) volevo riposare e abbiamo deciso di andare insieme sull’isola. Papà aveva già soggiornato in quella che era stata la casa dove aveva vissuto Elsa Morante e abbiamo provato a tornarci dopo trent’anni. Quindi l’idea era fare una vacanza ma parlare un po’ di Topor, mettere insieme le nostre conoscenze e trovare una quadra di scrittura. La parte autobiografica è reale; metto le cose sulla carta, poi le incastro e modifico perché funzionino insieme, fino appunto ad arrivare a spostare l’azione e la presenza di Topor a Napoli. Nelle interviste Topor dice di non amare Bologna-addirittura dice di aver mangiato male. Quando lavoro mi piace dare spazio al disegnatore, e visto che Antonio aveva già usato diversi stili, per coerenza narrativa ho iniziato a raggrupparli per argomenti: la mia scrittura si è basata sulle prove di stile di Tonino. La storia è costruita sulla selezione di alcune giornate dei protagonisti e spostare il punto di vista da Topor, alla «nostra» ricerca è stato naturale.
Il malessere di Fulvio di quel periodo è rappresentato con le formiche, care all’immaginario pittorico e cinematografico surrealista. Il vostro viaggio è stato reale, ma quanto vi accade sembra quasi sognato.
A.R. Sì, anche se abbiamo inserito elementi che ci riportano alla realtà. Il nostro talvolta è un sogno disturbato, come nel caso della telefonata da parte di mia moglie, da casa, dove la situazione non era delle più facili. Ci siamo divertiti a far affiorare elementi familiari in questo racconto: per me nonostante fosse un’opera prima, qualche certezza esisteva.
F.R. Fare fumetti a quattro mani significa impostare un dialogo e cercare un equilibrio. Normalmente con Pronostico- l’illustratore con il quale lavoro (Snif, Tango e L’eletto, tutti editi da Coconino Press ndr) le nostre conversazioni portano a un certo tipo di storia. Con papà, è stato diverso, abbiamo lavorato in mezzo ai ricordi, alle passioni comuni, più ci si conosce meno c’è bisogno di dire qualcosa.
Una costruzione da cadavere squisito, dove da un disegno o semplicemente da un segno dell’uno, l’altro fa scaturire un intero blocco narrativo. C’è anche un animale fantastico, una chimera: è toporiana o inventata?
F.R. Inventata. Una metafora visiva per riferirsi all’artista che frequenta molti linguaggi. Spesso si crede che questo tipo di artista sia meno capace, meno nobile, ma questo accade perché chi osserva l’arte e la studia ha bisogno di catalogarla, gli artisti che fanno una sola cosa sono più facili da raccontare e da inquadrare anche per i fruitori, ma restano i miei preferiti. Sono molto affascinato dagli artisti chimere, che sono tutto in un corpo solo. Per questo abbiamo inserito una parte favolesca, metaforica; la chimera era l’essere giusto per racchiudere l’essenza di Topor, che è anche il cuore di un racconto per certi versi complicato. Infatti quella chimera è stata disegnata a quattro mani, l’ho disegnata io e papà ha fatto i chiaroscuri, come era successo a Roland e suo figlio Nicolas; anche lui quando aveva 5 anni ha disegnato, lasciando al padre il compito di fare i chiaroscuri.
Alla fine del libro, che raccoglie l’immaginario del bimbo, Topor lo intervista e gli fa domande complesse, tipo «che ne pensi di Picasso?». Li mostriamo infatti disegnare insieme, un po’ come noi, che ci firmiamo Risulei, in un momento di fusione totale. Anche Tonino è una chimera!
La riflessione sull’essere artista-chimera attraversa tutta l’opera, dal mestiere reale di Antonio, al flop d’artista di Topor con «Le grand Macabre», nel momento di massima notorietà, prima dell’inizio della carriera televisiva…
A.R. Il grafico è un artista sui generis, ma ho la sensazione che in grafica un creativo vero non esista più, cioè ci siano dei pubblicitari che lavorano a partire da immagini preesistenti. Prima era il contrario: il disegnatore creava, si cercava un fotografo che riproducesse quell’immagine. Ho fatto molta didattica per far chiarezza su quale fosse il vero ruolo del grafico negli anni ‘70/’80, quando il nome creativo era associato a qualsiasi forma di artigianato.
F.R. C’è un’intervista dove Topor spiega come non avesse molta passione per il libretto de «Le Grand Macabre», ma il registra Pressburger lo convise dicendogli che si sarebbe potuto ispirare a Bosch, al Bruegel, che era un’opera sperimentale. In un contesto classico, che rilegge in chiave provocatoria, ironica, Topor fallisce e si dispiace di non esser capito. Ma continuerà a provare cose nuove, la recitazione, le trasmissioni televisive per bambini, la street art…come una vera e propria chimera.
Qui potete trovare l’intervista integrale: https://ilmanifesto.it/risulei-chimere-e-napolitopor