Cattivi scienziati, la storia di Milena Penkowa
– di Enrico Bucci –
Caro lettore, da oggi nasce un nuovo blog per fare compagnia ad un libro, Cattivi scienziati, attorno a cui si è aggregata una piccola comunità di persone che discutono di cosa sia – e non sia – la Scienza, e di cosa si può fare per porre qualche rimedio ad una serie di degenerazioni francamente inaccettabili.
Per attirare la tua attenzione, e magari coinvolgerti nella discussione, posso raccontarti una storia, che in questi giorni è sulle prime pagine dei giornali danesi. La ragazza al volante della bella auto sportiva in questa foto è una neuroscienziata, Milena Penkowa, di cui probabilmente non hai sentito parlare prima d’ora. Non proprio il tipo umano dello scienziato vero? Eppure, pochi anni fa questa ragazza era l’icona della rinnovata scienza danese.
Sulle prime pagine dei giornali appariva come un nuovo tipo di ricercatrice volitiva, con la sua auto sportiva rossa e il suo allenamento quotidiano alle 5 di mattina, seguito dalle lezioni nelle aule universitarie. La Penkowa è particolarmente nota per la sua brillante capacità di comunicare le ultime scoperte sul funzionamento del cervello umano e su possibili approcci terapeutici a terribili malattie, quali il morbo di Parkinson e l’Alzheimer.
Nel 2009, in una sfarzosa cerimonia nel palazzo della Gliptoteca di Copenaghen, la principessa Maria di Danimarca le ha assegnato il prestigioso Premio per i Ricercatori di Elite, che oltre ad una stretta della real mano prevede il conferimento di 1,1 milioni di corone danesi, di cui duecentomila come regalo personale e novecentomila per finanziare le sue ricerche. Nel ricevere questo premio, Milena Penkowa ha descritto sé stessa come “una persona competitiva, che ama essere messa alla prova ed essere sotto pressione. Io vedo le opportunità e ho bisogno di ottimizzare ogni cosa intorno a me, non solo nella ricerca”.
Ed indubbiamente, di opportunità di carriera e ricompensa economica ne ha colte molte: peccato che ciò sia avvenuto falsificando i dati sperimentali in almeno 15 lavori e nella sua tesi di dottorato. In un raro caso di severità giudiziaria in presenza di una frode scientifica (peraltro non certo la maggiore che sia stata scoperta), pochi giorni fa questa ragazza è stata condannata a 9 mesi di carcere (sospesi con la condizionale) perché ha falsificato i dati riportati nella sua tesi di dottorato del 2003 e in almeno 15 sue pubblicazioni scientifiche. L’Università ha dovuto restituire duecentomila corone al ministero per il premio ricevuto dalla Penkowa – visto che non era possibile riaverli indietro dalla professoressa.
Questi che ti ho descritto sono solo alcuni degli elementi più salienti della vicenda, che ha visto la Penkowa accampare come scusa per non ritrovare più i dati originali in supporto dei suoi articoli persino la morte della madre e della sorella – in realtà vive e vegete e tranquillamente ricomparse ad una cerimonia universitaria successiva all’inizio dell’inchiesta su di lei. Vi sono sospetti di intrecci sessuali, scambi di favori con giornalisti in cambio di “pezzi” benevoli e ogni altro ingrediente degno di una serie televisiva, più che del paludato ambiente accademico, ma un elemento è comune a tante, troppe storie di cattiva condotta da parte dei ricercatori: la copertura e l’appoggio ricevuti dalla propria università di appartenenza, che nel caso della Penkowa è durata per 10 anni almeno (attraverso l’aiuto del suo rettore e di altri personaggi di rilievo dell’accademia danese).
Davvero credevate che accadesse solo in Italia? Beh, discutiamone qui oppure vediamoci a Milano il 24 Ottobre con Elena Cattaneo e Gabriella Greison e parliamone insieme!
Tratto dal nuovo blog di Enrico Bucci