Si beve per cercare piacere
– di Alessandra Di Pietro – estratto da Il Gioco della Bottiglia
«L’alcol è un prodotto di consumo e un fenomeno di mercato. Più correttamente, le bevande alcoliche sono molte cose nella misura in cui vengono usate con motivazioni diverse: sono un prodotto enogastronomico, un elemento culturale, una sostanza psicoattiva. Possiamo trattarle alla stregua di un linguaggio. Se impariamo a decodificarlo, di sicuro ci racconterà qualcosa.»
Francesca Guarino, sociologa e ricercatrice in sociologia generale presso l’Università di Bologna, lo ha fatto e la prima tesi che sente di sostere è: «I ragazzi non si sentono vittime delle imposizioni di mercato. Sanno che esistono modi di consumare oggetti, manipolarli, condividerli e che, così facendo, comunicano qualcosa di loro stessi ossia uno stile. Nel caso del consumo alcolico, lo stile è “giovane” – seppur trasversale alla stessa età anagrafica – ed è rappresentato da un modo di bere sociale, cioè vissuto con gli altri e vissuto in modo tendenzialmente leggero. In qualità di sociologa, non mi limito però a parlare di quanto si beve, piuttosto sposto l’attenzione su come il consumo di alcol avvenga in modo vantaggioso rispetto all’identità sociale della persona. Bere è una scelta di utilità che compie il soggetto per stare “bene”, sentirsi “giusto”, in un modo abbastanza inedito e anche abbastanza incompreso da chi non è della stessa cordata. Si beve con gli altri, e pertanto farlo è un gesto sociale e condiviso. Poi il suo scopo latente, ossia non manifesto (spesso nemmeno a chi lo attua), è che è un modo per proteggersi e valorizzare la propria faccia, ossia il personaggio che siamo con gli altri, che tutti noi – giovani o meno giovani – siamo sempre con gli altri».
Guarino ha un pensiero audace e affascinante che rifiuta di piegarsi al politicamente corretto e chiama ogni cosa con il proprio nome: «In estrema sintesi, ragazzi e le ragazze bevono come divertimento, farlo insieme ha una grammatica di inclusione e di integrazione, e non è inteso come fosse una malattia neanche da persone che abusano. Lo stesso termine “abuso” non rientra nel lessico giovanile, è un termine medico e rientra in un diverso tipo di logica. Ecco perché, dal loro punto di vista, quello di chi beve, non esiste la categoria “giovani che hanno un problema con l’alcol” e questa chiave di analisi nelle campagne di prevenzione e protezione della salute è fallimentare. Come se si parlassero due lingue diverse».
Il marketing lo sa e pigia senza esitazione né moralismo i tasti del piacere, riuscendo a infiltrarsi tra le maglie delle leggi che pure agiscono per vietare o limitare la pubblicità.
Alessandra di Pietro presenterà
Il gioco della bottiglia. Alcol e adolescenti, quello che non sappiamo
nelle prossime settimane a:
Libreria Luna’sTorta >> Torino, sabato 24 ottobre 2015
Teatro Piccolo Eliseo >> Roma, lunedì 26 ottobre 2015
Libreria Open >> Milano, mercoledì 3 novembre 2015
Villa Castelli >> Brindisi, martedì 11 novembre 2015