Parlare al silenzio
La mania di raccontare il tennis
Tra esperienze fantozziane e riflessioni antropologiche, inchioda il mestiere del telecronista di tennis diventando una specie di Joseph Roth che scrive dell’impero austro-ungarico mentre scivola via. Uomini, donne, lingue, toni, viaggi e soprattutto tennisti che passano e svaniscono, mentre vengono cantati da lontano, nell’inafferrabilità di un tempo separato, percepito, compreso, ma non salvabile. Marco Ciriello - Il Mattino
Quando, sul campo da tennis, i giocatori si preparano a uno scambio, il brusio del pubblico si affievolisce. Si sente solo il rimbalzo della pallina sul terreno, insieme a qualche raro colpo di tosse. Anche nelle cabine dei telecronisti, e nelle case in cui il pubblico aspetta, il suono si fa ovattato e ogni rumore si spegne.
Il tennis è uno sport di silenzio, in cui la voce del telecronista deve adattarsi al ritmo e al movimento del gioco. Nell’ambiente esiste un pregiudizio diffuso, secondo cui «è facile fare il tennis, cinque parole e hai finito».
Federico Ferrero, che da anni lo commenta in televisione, ci racconta la transizione da un passato di grandi inviati, da Gianni Clerici a Rino Tommasi, a un presente fatto di rare trasferte, molta informazione via web e un linguaggio sempre più standard e tecnicizzante. Partendo dalle storiche sfide tra McEnroe e Borg, Sampras e Agassi, Federer e Nadal e arrivando al nuovo che avanza con Sinner e Alcaraz, Ferrero scrive di maestri, momenti di gloria, sogni avverati o infranti, per ragionare di linguaggio e informazione. Con la speranza, sorretta dalla nostra innata voglia di ascoltare storie, che lo sport abbia ancora bisogno di narrazioni e narratori.
Leggi un estrattoProprio come la palla si può colpire solo nella propria metà campo e poi bisogna aspettare, cercare di intuire il futuro, azzeccare le mosse e pensare in anticipo, così il racconto del tennis, che sia scritto o parlato, funziona a patto che se ne rispettino i tempi e le pause. Anche i silenzi.