Pechino pieghevole
L’ultra-irrealismo di Hao Jingfang ci restituisce un futuro cinese sempre più simile al nostro. Simone Pieranni
Se la letteratura è una finestra sulla realtà, l'antologia Pechino pieghevole è quella giusta a cui affacciarsi per capire la Cina e le trasformazioni che sta attraversando. Alberto Grandi - Wired
L'opera cinese di fantascienza che svela il presente in cui viviamo. - New York Times
Dopo questa lettura la realtà non è più la stessa. Teoria scientifica e riflessione politica si uniscono in uno sguardo tagliente sul conflitto di classe e il mondo che abitiamo. - Uncanny Magazine
Vincitore del Premio Hugo
Vincitore Premio Fondazione Lattes per la traduzione
Pechino è divisa in tre spazi e le ventiquattr’ore di ogni giorno sono state accuratamente organizzate per salvaguardare il tempo e l’aria che respira l’élite, composta da cinque degli ottanta milioni di persone che abitano la metropoli. Tutti gli altri, incastrati nella rigida stratificazione urbana, si spartiscono quello che rimane. Lao Dao è nato nella città pieghevole e lavora in discarica come suo padre. Vive nel sottosuolo, ma per consegnare una lettera in cambio di denaro si intrufolerà negli spazi della classe media e di quella alta, scoprendo l’esistenza di mondi diversi dal suo.
Catastrofe ecologica, tecnologie di sorveglianza e disuguaglianze sociali stravolgono il tempo e lo spazio in Pechino pieghevole, l’emblematico racconto che dà il titolo a questa raccolta folgorante, un caso letterario che si inserisce nell’«ultra-irrealismo» (chaohuan), il nuovo genere letterario ispirato dalla realtà allucinata della Cina odierna.
Negli undici racconti, Hao esplora la fragilità umana alle prese con gli spettri del cambiamento e del possibile, l’intelligenza artificiale e l’automazione, costruendo una narrazione pervasa di sensibilità per quest’epoca di incertezza, solitudine e disorientamento.
Se la science fiction è il realismo dei nostri tempi, Hao Jingfang rivela angolazioni inattese ed estreme da cui osservare il mondo futuro in cui già viviamo.
Alle prime luci dell’alba, la città si piegava e spariva dentro la terra. I palazzi si inchinavano come umili servitori, si abbassavano con deferenza, toccandosi i piedi con la testa, per chiudersi su se stessi. Poi si spezzavano e si piegavano ancora in due per infilare capo e braccia negli spazi vuoti. I poliedri compatti che si venivano a formare ruotavano fino a comporre un gigantesco e perfetto cubo di Rubik pronto a sprofondare in un lungo sonno. A quel punto la terra ruotava.