26 febbraio 2025

Autoritaria e assertiva, l’India non è quella che l’Occidente ama immaginare: l’intervista a Matteo Miavaldi

L’intervista a Matteo Miavaldi a cura di Maria Tavernini per la rivista Altreconomia.

Miavaldi nel suo libro viene smontata la narrativa che affascina l’Occidente: un’India patria del pacifismo e della spiritualità. Quanto è lontano l’immaginario che abbiamo costruito da quello reale e quanto è difficile raccontarlo oltre gli stereotipi?
Una parte dell’India che ci è stata raccontata, quella più mistica e spirituale, esiste ma è un Paese da 1,4 miliardi di persone, quinta potenza economica al mondo, con uno degli eserciti più numerosi. Esiste anche un’India “normale” che talvolta è difficile raccontare: penso, ad esempio, alle proteste contadine. Credo che all’opinione pubblica italiana interessi sapere che cosa succede nel Paese più popoloso del mondo, dove esiste la politica, i sindacati, le lotte e i morti durante le manifestazioni e dove il racconto pacifista viene messo da parte. Ho avuto la fortuna di viverci per tanti anni e vi assicuro che le persone normali se ne fanno poco del racconto di quanto lo yoga ci aiuti a entrare in contatto con le energie della Terra se poi passano le leggi sulla liberalizzazione dell’agricoltura. Sono temi importanti per l’opinione pubblica indiana e anche internazionale perché quello che succede lì, dove vive un sesto della popolazione mondiale, influenza quello che succede nel resto dell’Asia meridionale e poi del mondo. Non dico che l’India che abbiamo sognato e inseguito per decenni non esista ma ce n’è un’altra che raramente viene raccontata e nel libro provo a riempire questo vuoto narrativo.

I nazionalisti hindu, al governo dal 2014, stanno stravolgendo i connotati di un Paese che sembrava “fuori dal tempo e dallo spazio”. Quanto lo ha visto cambiare?
La prima volta che sono andato, nel 2008, Narendra Modi era un politico di seconda-terza fascia e il nazionalismo hindu -che è sempre esistito- era tenuto a freno dallo strapotere dell’Indian National Congress che ha espresso la maggior parte dei primi ministri dell’India indipendente. L’India del Congress era la prosecuzione di quella fondata da Jawaharlal Nehru nel 1947 dove minoranze etniche e religiose dovevano e avevano trovato un modo per convivere. Nel 2014 ho coperto la campagna elettorale e Modi non veniva dato come favorito. Non succedeva da decenni che un solo partito portasse a casa trecento seggi e ci si è resi conto che qualcosa stava cambiando: alcune cose si sono sempre pensate in alcuni ambienti, tipo che i musulmani -ossia il 15% della popolazione, 250 milioni di persone- non avessero niente a che fare con il Paese e dovessero trovarsi un altro posto dove andare. Era una cosa che si sentiva dire ma a mezza bocca. Dal 2014 è diventata una posizione sempre più socialmente accettata, con conseguenze estremamente gravi. Ma soprattutto stanno scricchiolando i pilastri di che cosa vuol dire l’India. Il mio titolo, da un lato, prende ispirazione dal libro di Alberto Moravia Un’idea dell’India e dall’altro cerca di esplorare quali sono state le idee di India che concorrevano per concretizzarsi nello Stato nazionale: quella del nazionalismo hindu sembrava aver perso e invece sta tornando in auge, con conseguenze preoccupanti.

Lei paragona l’India a una “pentola a pressione”: sotto il coperchio il risentimento tra hindu e musulmani non ha mai smesso di bollire, sfiatando di tanto in tanto. “Dopo Ayodhya il tappo è saltato”: il suprematismo hindu è oggi legittimato a mostrarsi in tutta la sua ferocia?
Il massacro di Ayodhya del 1992 è un episodio spartiacque: migliaia di sostenitori della destra hindu rasero al suolo la moschea nota come Babri Masjid in Uttar Pradesh sostenendo che sotto c’era un tempio dedicato al dio Ram e quest’idea pseudostorica ha sobillato un movimento che si è mischiato con l’idea di India. Quello che pensa (una parte) della maggioranza hindu è che l’India sia un Paese per gli hindu. A livello aritmetico, poiché la maggioranza della popolazione è hindu, si è creato un vantaggio per il Bharatiya janata party (Bjp) che dal 2014 ha vinto tutte le elezioni nazionali. Il fatto che una formazione di questo tipo governi da 11 anni ha portato a una modifica di che cos’è l’India: l’orgoglio hindu è in crescita e si mischia alle ambizioni da superpotenza. L’India superpotenza è hindu, un progetto che Modi sta portando avanti con determinazione e poche resistenze. Essere una superpotenza hindu era il sogno che avevano gli estremisti hindu un secolo fa e non sono mai stati così vicini dal trasformarlo in realtà.

Sotto Modi è stato un crescendo di autoritarismo, sterzate identitarie e sviluppo forsennato. La destra hindu ha da poco vinto le elezioni locali a Delhi dopo quelle nazionali, pur se a stento, per la terza volta consecutiva. Il fascino del brand Modi sembra inarrestabile.
La prova dei fatti ci dice che è inarrestabile perché su tre elezioni nazionali Modi ha stravinto e dico Modi non a caso: l’identità del Bjp è schiacciata sul culto della sua personalità. È inarrestabile perché riesce a raccontarsi molto bene, a rivendicare dei risultati senza dubbio ragguardevoli come una delle crescite economiche più strabilianti degli ultimi anni. Però prendiamo in considerazione che cosa si nasconde dietro al Pil: le diseguaglianze interne sono sempre più marcate, ci sono enormi problemi di gestione del dissenso interno, nell’attivismo, nella libertà di espressione. Questi problemi raccontano un’India che sta colando a picco in tutti i valori che definiscono una democrazia. È stata definita un’autocrazia elettorale, una democrazia che si comporta superficialmente come tale ma nella gestione del potere tende all’autoritarismo. Il progetto di attuare una svolta autoritaria in una grande democrazia ha conseguenze inquietanti (vedi Donald Trump negli Usa) e l’India è già allineata a un futuro in cui la democrazia per come l’abbiamo conosciuta non riscuote più successo. Iniziano a emergere dei politici sempre più autoritari che, senza bisogno di svolte dittatoriali, sono in grado di gestire un grande Paese in modo autoritario, che è quello che Modi ha fatto. Possiamo dire che non ci piace ma sappiamo che quando si va alle elezioni tante persone preferiscono votare una persona muscolare, autoritaria. Il mandato elettorale è molto chiaro e sarà interessante vedere come il Paese si inserirà nel nuovo ordine mondiale che Trump vuole rivoluzionare. La speranza di Modi è che ci sia un posto di primo piano per l’India.

L’India di Modi è determinata, sicura del suo nuovo ruolo internazionale e sempre più “assertiva”, pur se in bilico tra posizioni contrastanti. Ma è anche sempre meno democratica, plurale e inclusiva. Come si conciliano queste due facce alla luce della sua crescente indispensabilità per l’Occidente?
Da decenni si dice che l’India diventerà una superpotenza, presto succederà ma non sarà la superpotenza che tanti hanno immaginato. Una parte del libro mette fianco a fianco l’immagine di Modi quando parla inglese, a un pubblico occidentale, con il Modi in hindi, quando si rivolge al suo elettorato: è un Modi molto diverso, abbastanza inquietante. Come lo sono le persone che gli sono vicine nel partito e nella Rashtriya Swayamsevak Sang, l’organizzazione paramilitare ultra-hindu, spina dorsale ideologica del Bjp: andare a vedere chi sono queste persone ci permette di capire l’India di oggi -autoritaria e assertiva- che non è certo piovuta dal cielo senza avvisaglie. Se la guardiamo in chiave storica, l’India di oggi è così perché ci sono state persone e idee che l’hanno portata a essere quella che vediamo. Quindi una superpotenza in divenire che l’Occidente spera possa svolgere un ruolo nel contenimento dell’avanzata cinese, ma che ha al suo interno dei problemi giganteschi che hanno a che fare con che cosa vuol dire essere una democrazia. È un esperimento unico, non esiste un altro Paese con così tanti abitanti che provi ostinatamente a essere democratico. Nei decenni ha mostrato le proprie fratture, le proprie difficoltà e più si va avanti, più la democrazia continua a essere in bilico; dall’altra parte la speranza indiana di diventare una superpotenza è sempre più forte. Quindi la grande domanda rimane: è possibile essere una superpotenza e una democrazia? Da quello che vediamo è probabile che non lo sia. La democrazia indiana in qualche modo si sta sfaldando ma stanno emergendo anche degli anticorpi, li abbiamo visti nelle ultime elezioni quando la destra di Modi ha vinto, sì, ma non così tanto. Significa che esiste una parte di elettorato che immagina un’altra India, dove continui a esserci spazio per le moltissime minoranze e idee che attraversano il Paese più popoloso del mondo.

Qui l’intervista completa su Altreconomia.

Vai al libro: https://www.addeditore.it/catalogo/matteo-miavaldi-unaltra-idea-dellindia/

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