10 novembre 2025

Dentro l’Asia che non conosci con add editore: l’intervista a Ilaria Peretti

L’intervista a Ilaria Peretti, curatrice della collana Asia, su La salamandra di pixel di Mattia Nesto.

La sezione Asia raccoglie memoir, romanzi, saggi e graphic novel: qual è il filo rosso che lega libri così diversi tra loro? L’Asia è raccontata spesso in chiave “esotica” o stereotipata. Qual è invece la missione di questa collana editoriale?
La collana Asia nasce con l’intento di portare in Italia più libri che contribuiscano a scardinare stereotipi radicati e offrire una visione più sfaccettata dell’Asia contemporanea. Dal Sudest asiatico alla Cina, da Hong Kong alla Corea, fino a Taiwan e al Giappone, la selezione di ogni titolo è trainata dal desiderio di dare legittimità alla produzione creativa di questo pezzo di mondo e stimolare un dialogo più profondo e soprattutto consapevole. Per quanto negli anni sia sempre più evidente la rilevanza dell’Asia a livello globale, è ancora rappresentata con immagini banalizzanti, stereotipate, esotizzanti che fanno fatica a essere smantellate. L’obiettivo è offrire una narrazione non semplificata, e che possa rivolgersi a un pubblico molto vario.

Come scegliete i titoli da pubblicare? C’è un aneddoto legato a un libro che hai “scoperto” e hai capito subito che doveva far parte della collana?
Non abbiamo un percorso lineare nella scelta dei titoli, ogni libro è arrivato nella nostra collana attraverso strade diverse: dallo scouting in loco, alle relazioni istaurate con traduttorə, giornalistə, studiosə, alla ricerca nelle nicchie che ci interessano.
Cerchiamo voci autorevoli del panorama contemporaneo, ma anche opere più vecchie che hanno fatto un pezzo di storia della letteratura nel Paese di origine, e che sono ancora oggi rilevanti nel dibattito contemporaneo. Tra questi ultimi penso alle raccolte di racconti di Suzuki Izumi, icona dell’avanguardia giapponese e precursora di una letteratura di fantascienza femminista negli anni Ottanta, o Chi Ta-wei che ha scritto una delle prime opere di fantascienza queer taiwanese a metà anni Novanta.
Capita di imbattersi in titoli di autorə molto giovanə, alla loro prima opera, come Dolki Min, e trovare tale affinità da capire sin da subito che è da inserire nel catalogo. Dal modo in cui parla di corpi, di identità queer, del sentirsi fuori posto in questo mondo, il suo In forme ha quel mix di ironia e critica sociale, profondità e sfacciataggine, tale da condensare molte delle questioni che ci stanno a cuore. È uscito da poco tradotto da Lia Iovenitti, traduttrice del premio Nobel Han Kang, che ne ha restituito tutta la vivacità, la sensibilità e il tono tagliente.

Nei libri della collana si parla di K-Pop, proteste, robotica, intimità digitale, cucina e geopolitica: che immagine dell’Asia contemporanea emerge da questa varietà di sguardi?
Un’immagine che dovremmo abituarci a vedere. L’Asia è un continente immenso, fatto di culture diverse, Paesi e tradizioni diverse. Ognuno con le proprie specificità e traiettorie storiche.
Per questo ci siamo affacciate anche a formati diversi, dal graphic novel di Li Kunwu, Una vita cinese, alla traduzione di saggi o memoir di persone esperte non originarie dell’Asia, come Indonesia ecc. di Elizabeth Pisani o Asia ribelle di Tim Harper, per citarne alcuni. In altri casi, abbiamo dato vita a progetti insieme a giornalisti italiani, costruendo i libri fin dalle prime idee, come Tecnocina di Simone Pieranni o Un’altra idea dell’India di Matteo Miavaldi.

Molti autori e autrici sono nomi di culto nei loro Paesi (come Kim Bo-young o Izumi Suzuki), ma ancora poco noti in Italia. C’è un ricordo particolare legato alla scelta o alla traduzione di uno di questi libri che ti ha colpita?
Tra le persone appassionate, autrici come quelle che hai appena citato sono molto conosciute, tanto che buona parte del nostro pubblico era in trepidante attesa di leggere le traduzioni. Spesso si scopre che lə autorə che traduciamo sono meno sconosciutə di quanto si possa pensare.
Ogni traduzione è un incredibile viaggio, ma dato che l’hai citata quello sui testi di Suzuki Izumi è stato un lavoro particolarmente stimolante. Come spiega la traduttrice Asuka Ozumi, l’autrice gioca molto con la lingua, inventa parole, fonde termini tra loro, usa slang in voga negli anni ’80 e ormai perduti. Non è stato facile approcciarsi a questo testo, ma è proprio la sua complessità che ha fatto emergere la cifra stilistica unica di questa autrice.

Avete scelto di affiancare alla collana anche un podcast: in che modo pensi che l’audio possa ampliare e arricchire l’esperienza dei libri? Hai un episodio che ti è rimasto più impresso?
MONSONI nasce per raccontare tutte quelle cose che non stanno nei libri, è pensato come uno spazio per raccogliere le ricerche che portiamo avanti da anni, le storie di persone che abbiamo incontrato nel nostro percorso, e i punti di vista di esperte ed esperti. È anche un tentativo di creare una comunità fatta di un coro di voci, punti di vista diversi, prospettive altre, per conoscere l’Asia attraverso molteplici lenti.
Si è parlato di arte, tecnologie, diritti riproduttivi, cinema, superlavoro, sostegno alla Palestina: ogni puntata è stata davvero unica, un’esplorazione di pratiche di resistenza, di ribellione, di fare comunità e cultura da cui credo non si possa che imparare.

add Editore si prepara a lanciare una collana horror: quali saranno le caratteristiche che la distingueranno nel panorama editoriale italiano?
Negli ultimi anni abbiamo osservato una crescente attenzione verso il genere horror, nella letteratura come ma anche nel cinema e nei videogiochi. Per noi è stata una scelta naturale esplorare questo universo. Ogni autore o autrice porta con sé un approccio unico, ma il nostro interesse si concentra su opere sofisticate e complesse, che guardano all’orrore per indagare la psiche umana, la società in cui viviamo e le forme di paura, angoscia, terrore che essa genera.
Inizieremo con Il mare infetto di Kim Bo-young, un racconto horror che rende omaggio alla letteratura di H.P. Lovecraft. Proseguiremo con una raccolta di racconti indonesiana, Gli schiavi di Satana, firmata da Eka Kurniawan, Intan Paramaditha e Ugoran Prasad, che intreccia possessioni, fantasmi, desideri repressi e vendette soprannaturali, mettendo a nudo le conseguenze dell’estremismo religioso, del machismo, della repressione delle donne e della violenza contro gli oppressi, oltre ai desideri più oscuri e inconfessabili.
Chiuderemo l’anno con Sinofagia, un’antologia curata da Xueting C. Ni che riunisce alcune delle voci più interessanti dell’horror cinese, tra mitologie e leggende antiche, immaginari distopici terrificanti, sempre con una forte critica sociale, dal mito del progresso cinese agli aspetti più tradizionali della cultura.

Secondo te, cosa può insegnarci l’horror contemporaneo e c’è un titolo o un autore che ti ha sorpresa particolarmente mentre preparavate questa nuova collana?
Siamo ancora all’inizio di questo percorso, quindi è difficile scegliere un solo titolo o un autore. Posso però dire che queste opere, molto diverse tra loro per stile e ambientazione, condividono una caratteristica fondamentale: quella di raccontare realtà spesso scomode, facendo emergere le ombre nascoste della società. Credo che la letteratura horror possa a tutti gli effetti diventare uno specchio che ci costringe a guardare dentro noi stessi, a mettere in discussione ciò che diamo per scontato e a far emergere domande profonde su chi siamo e sul mondo che stiamo costruendo.

Qui l’intervista completa.

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