Il lato oscuro della difesa ambientale: l’intervista a Olivier van Beemen
L’intervista a Olivier van Beemen a cura di Marco Trovato su Africa.
African Parks è la più grande organizzazione privata per la conservazione in Africa. Lei, però, ne propone una lettura critica. Che cosa ha scoperto?
African Parks si presenta come salvataggio delle riserve africane. Ma la realtà è più problematica. Ho incontrato comunità locali che vivono dentro o attorno ai parchi e che non vedono di buon occhio la presenza dell’organizzazione. Il motivo principale è l’approccio aggressivo alla lotta al bracconaggio. È giusto contrastare i trafficanti di zanne o corni, legati a reti criminali. Ma spesso vengono punite anche persone che cacciano o raccolgono risorse per sopravvivere. African Parks tende a non di- stinguere e questo genera forti tensioni.
Cosa l’ha colpita di più durante l’inchiesta?
I racconti di torture. A Liuwa Plain, in Zambia, ex ranger mi hanno parlato di tecniche violente usate per far confessare presunti bracconieri, come lo “swing”, che consiste nel legare mani e piedi dietro la schiena e colpire il sospettato. Ho incluso nel libro anche una foto che lo documenta. In quelle condizioni, chiunque finisce per confessare qualsiasi cosa.
Nel libro lei parla di un’impostazione “coloniale”. Perché?
Normalmente evito termini come “colonialismo” o “neocolonialismo”, anche nel mio precedente libro su Heineken. Ma nel caso di African Parks la dimensione coloniale è davvero evidente. Quando ho controllato, nel 2022, tutti i dirigenti senior erano bianchi, sebbene gestissero parchi in 12 Paesi africani. L’organizzazione è nata nei Paesi Bassi, dove un gruppo di europei selezionava sulla mappa dell’Africa i parchi su cui espandersi. Questo ricorda chiaramente le logiche del colonialismo. Un collaboratore del fondatore mi disse: «Abbiamo deciso di gestire noi quei parchi perché i neri non ne erano capaci». La trovo un’affermazione profondamente razzista. Inaccettabile.
Ha ricevuto minacce o pressioni?
Sì, più che con Heineken. In Rwanda non mi è stato concesso l’accredito stampa necessario per svolgere il mio lavoro. In Congo sono stato fermato senza motivo al confine tra due province. Ma l’episodio più grave è avvenuto in Benin, dove un collega e io siamo stati arrestati. Abbiamo passato quattro giorni in detenzione, ufficialmente accusati di spionaggio. Rischiavamo di finire sotto processo per terrorismo e crimini economici – accuse molto gravi, che in quel contesto politico possono facilmente portare a condanne durissime. Alla fine io sono stato espulso e rispedito in Europa. Il mio collega, per fortuna, è stato rilasciato e da allora non ha più avuto problemi. Ma, prima ancora che il libro uscisse nei Paesi Bassi, African Parks mi ha minacciato legalmente: se la pubblicazione avesse causato la perdita di fondi da parte dei donatori, avrebbero chiesto i danni a me e al mio editore. Si parlava di cifre milionarie. Inoltre volevano che riscrivessimo il libro, correggendo quelle che loro consideravano «conclusioni errate» e sottoponessimo la nuova versione alla loro approvazione. Ovviamente mi sono rifiutato. È stata senza dubbio l’indagine più difficile della mia carriera.
I governi africani non hanno responsabilità?
Certo. African Parks non impone la sua presenza: firma accordi con i governi africani, che cedono di fatto la gestione dei parchi. Il territorio resta formalmente pubblico, ma nella pratica tutto è gestito esternamente, con poca trasparenza. La responsabilità è anche di chi sceglie di affidare un patrimonio nazionale a un soggetto privato straniero.
Esistono alternative valide a questo modello?
Spetta ai responsabili della conservazione trovarle, non ai giornalisti. Ma esistono modelli più inclusivi, basati sulla cogestione con le comunità locali. Dove chi vive accanto ai parchi è coinvolto e ne trae benefici reali. La tutela della natura non può calare dall’alto da manager europei. Paesi come Kenya, Tanzania, Botswana e Senegal hanno rifiutato il modello African Parks per non perdere controllo sul proprio territorio.
Qui l’intervista completa.
Qui il libro: https://addeditore.it/catalogo/olivier-van-beemen-cattivi-custodi/