L’alieno che ha trovato rifugio nel nostro mondo dopo la distruzione del suo: l’intervista a Dolki Min
L’intervista a Dolki Min a cura di Reading Wildlife in occasione della sua partecipazione al Trieste Science+Fiction Festival.
La scena con cui si apre il tuo romanzo descrive molto bene il peso di portare in giro un corpo che non si percepisce come il proprio. Mumu, infatti, modella il suo corpo alieno per farlo assomigliare a quello umano, ma questa costrizione lo stanca molto, così come la gravità del nostro pianeta. Come hai lavorato per inserirti in questo corpo non conforme?
Non è stata una decisione cosciente, ma che si ancora nel mio vissuto: il motivo principale per cui Mumu trascina in giro il suo corpo come se fosse una grandissima valigia è che rispecchia la mia esperienza personale. Chiaramente nel romanzo viene giustificato con la differenza di gravità col pianeta natale dell’alieno, ma in questo caso la uso per parlare della depressione. In quel periodo ho percepito un cambiamento nel mio corpo, e che l’ambiente intorno a me mutava in rapporto col mio corpo stesso. Per esempio, mi sembrava che le scale mi odiassero.
Il mio corpo continuava a mutare, continuava a cambiare, ma tutto ciò che la società ha costruito non è flessibile quanto il corpo; il mio corpo non è un oggetto, ma ci sono state situazioni me lo hanno fatto percepire in quel modo, e ho trasportato questa sensazione di trascinarsi su Mumu.
Un altro tipo di peso che si trova nel romanzo è il peso delle aspettative di genere: Mumu riflette molto su cosa ci si aspetta da una donna e cosa ci si aspetta da un uomo. In quanto mutaforma, lo vediamo assumere corpi e identità maschili e femminili del corso del romanzo, e l’alieno non ci risparmia la sua opinione sui nostri costrutti e la nostra visione binaria del genere.
Molte persone che hanno letto il libro pensano a Mumu come a una donna transgender o genderqueer; non ho volontariamente rappresentato Mumu come un genderqueer, piuttosto quello che ho cercato di spiegare è che questo sistema di binarismo di genere è stato sempre molto scomodo nella mia esperienza. Fin da quando ero piccolə mi sono spesso sentitə dire che camminavo come una donna, quindi ogni volta che cammino sono molto cosciente della mia azione, e mi innervosisco e angoscio pensando a cosa stiano pensando le altre persone del modo in cui cammino. Questa angoscia, questa esperienza, sono finite nella costruzione di Mumu.
Mumu è un individuo molto solo. Non soltanto perché pensa di essere l’ultimo della sua specie, ma anche perché le sue relazioni sulla terra passano dalle app di dating, che usa per procacciarsi il cibo; nonostante esprima più volte il desiderio di una connessione più profonda, più duratura, tutte le sue relazioni sono a breve termine, e lui stesso non capisce se sia attratto dalle persone, o se voglia starci il più lontano possibile.
Penso che anche questo aspetto sia un po’ riferito al mio personale, perché io sono una persona molto introversa e quindi vivo questo paradosso: voglio incontrare le persone, ma non voglio stare con loro, e questi due pensieri continuano a coesistere dentro di me.
Ho sempre voluto far parte di un qualche tipo di circolo, di scrittura, di lettura, cinefilo. Ho sempre voluto farne parte e ho sempre immaginato di essere lì e stare in mezzo alle persone, ma sono sicurə che nel momento in cui mi trovassi veramente in una situazione del genere, non vedrei l’ora di tornare a casa. Ho accettato le mie contraddizioni, credo che sia lo stesso per ogni persona, che riconosca le sue peculiarità o meno.
Tra le particolarità di questo romanzo ci sono anche le tue illustrazioni, inserite tra le pagine della storia, e un’attenzione particolare alla forma: nella traduzione italiana, quando Mumu si concede di essere sé stesso, anche le sue parole perdono i contorni umani e vengono rese graficamente in maniera diversa. Come è stata concepita questa mutazione della lingua in originale?
In coreano lo spazio tra le lettere è molto importante per comunicare in maniera efficace. Io ho immaginato Mumu come un corpo con un apparato vocale diverso da quello umano, perciò quando è sé stesso questa difficoltà viene trascritta uniformando lo spazio tra le lettere (metodo che è stato utilizzato anche nella traduzione inglese). Questo perché volevo che l’esperienza di lettura, quando Mumu abbandona le forme umane, fosse più faticosa da capire. Nella traduzione italiana, invece, abbiamo scelto una forma del testo che richiamasse il corpo alieno di Mumu, con le sue mutazioni e trasformazioni, come si vede anche nelle illustrazioni.
Ho iniziato a disegnare da piccolə, in modo quasi istintivo. E quando ho deciso di autopubblicare questo romanzo, ho voluto inserire anche i miei disegni. Non volevo però che però che il testo coincidesse con l’illustrazione, volevo lasciare comunque uno spazio di immaginazione, che le due parti dialogassero, ma non si sovrapponessero.
In forme ha vinto l’Otherwise Award nel 2024, premio statunitense di cui tu sei statə il primo vincitore coreanə; conoscevi il premio? Quando hai scoperto di aver vinto?
Mi ha sorpreso molto. Conoscevo le opere di Tiptree Jr., ma non sapevo ci fosse un premio intitolato a lei, come sono sicurə che non lo conoscano le persone in Corea. Mi hanno mandato una mail, è stata la mia prima vittoria a un premio e non era coreano, ma dagli Stati Uniti, per cui avevo dei sentimenti ambivalenti, perché avevo partecipato a molti concorsi in Corea, senza mai vincere. Ero felice, ma anche un po’ melanconico.
Qui l’intervista completa.
Qui il libro: https://addeditore.it/prodotto/dolki-min-in-forme/