Serve un museo sulla storia del colonialismo: l’intervista a Christophe Boltanski
L’intervista a Christophe Boltanski a cura di Riccardo Michelucci su Avvenire.
Perché, pur non essendo belga, ha sentito il bisogno di calarsi nella cattiva coscienza di quel Paese?
Questa è una storia europea. Il Congo fu ceduto a re Leopoldo alla Conferenza di Berlino del 1885. L’esploratore Henry Morton Stanley era gallese, i primi conquistatori appartenevano a varie nazioni europee, le compagnie minerarie erano finanziate da capitali belgi e britannici. Ho iniziato a lavorare al libro nel 2020, quando centinaia di statue venivano prese d’assalto. Erano le manifestazioni seguite all’omicidio di George Floyd. Una delle linee di faglia di questo scontro di memorie passa proprio per l’Africa Museum.
Crede che l’attuale allestimento consenta a un visitatore ignaro di comprendere la portata dell’orrore e individuarne chiaramente i colpevoli?
Al principio non era neanche quello l’obiettivo. Bisognava semplicemente liberarsi di un passato ingombrante. I musei coloniali hanno avuto tutti più o meno la stessa evoluzione: in un primo momento furono trasformati in musei etnografici poi rinacquero come musei d’arte. Un esempio è il Quai Branly di Parigi. È una soluzione di comodo. L’arte è universale, sfugge alla storia e può essere apprezzata fuori dal suo contesto. Rispetto agli altri musei, quello di Tervuren non ha voluto scegliere: è rimasto al tempo stesso un museo etnografico, di storia naturale e d’arte. Inizialmente la direzione voleva approfittare del restauro per eliminare ogni riferimento al passato coloniale. La sala storica è stata aggiunta in un secondo momento, su richiesta di esperti e molte associazioni. Allestito in extremis, lo spazio risulta esiguo e deludente. I crimini commessi sotto il regno di Leopoldo sono evocati in termini blandi e sommari, talvolta addirittura taciuti. Si avverte che ogni parola è soppesata per non irritare nessuno, come se si dovesse redigere un comunicato diplomatico.
Ma si fa riferimento al saccheggio delle risorse naturali.
Si parla dello sfruttamento del caucciù, anche se si omettono i massacri che ha provocato all’inizio del XX secolo; di questa violenza estrema si fa un breve cenno. Alcune statue coloniali sono state spostate, rimosse nei sotterranei. Un visitatore ignaro di quella storia non può capire granché.
Le parole pronunciate da re Filippo nel 2020 hanno contribuito alla verità e alla giustizia?
Re Filippo non ha rivolto scuse ufficiali al Congo, ha solo espresso “il più profondo rammarico”. Le parole contano. La prima formula avrebbe permesso ai congolesi di chiedere risarcimenti, e sarebbe stato un passo simbolico importante. C’è ancora un lavoro di giustizia e verità da fare. Pur avendo restituito al Congo le spoglie, un dente, del leader indipendentista Patrice Lumumba, assassinato dai servizi segreti nel 1961, il Belgio non ha ancora desecretato gli archivi concernenti il suo assassinio.
I belgi non hanno fatto i conti con quel passato?
Direi di no. Non più degli altri europei. Il fallimento dell’Africa Museum è indicativo. Era una missione impossibile: non si può decolonizzare un museo coloniale, come non si può denaturalizzare un museo di storia naturale. Sarebbe stato meglio trasformarlo in un meta-museo, in un museo della storia coloniale. È curioso che questa storia importante, che ha riguardato più di tre quarti dell’umanità, non sia affrontata da nessuna parte. In Francia abbiamo musei nazionali su tutto: la moda, la posta, la dogana, la tappezzeria, la preistoria, il Rinascimento, il Medioevo, e chissà quant’altro, ma non un museo sulla colonizzazione.
Non c’è il rischio che, pur riconoscendo i crimini del passato, noi occidentali non ci accorgiamo di forme coloniali e di sfruttamento in corso?
Non si potranno mai affrontare le violenze del presente se non si è capaci di affrontare quelle del passato. Quel passato è sempre qui, perseguita il nostro presente, avvelena la nostra idea degli altri, alimenta i peggiori populismi. Non è un caso che il Front National, il partito di Marine Le Pen, sia stato fondato da nostalgici dell’Algeria francese. Come dice William Faulkner, “Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato”.
Qui potete trovare l’intervista completa su Avvenire: https://drive.google.com/file/d/1g4kbR6I_fORkyK1dpxhZQz49KWLvhL9Y/view?usp=sharing
Vai al libro: https://www.addeditore.it/catalogo/reinier-de-graaf-architettare-verbo/