In giro con Bella ciao
– di Carlo Pestelli –
Ci tenevo a presentare Bella ciao a Cuneo, anche per un fatto personale. Esattamente vent’anni fa, il 26 aprile 1996, mi trovavo nella città triangolare con Michele L. Straniero e Daniele Radicioni. In quel momento Daniele è un compagno di università con il quale condivido l’interesse per la musica popolare: divoriamo i dischi dei Cantacronache e del Nuovo Canzoniere italiano, scaldiamo il pubblico in apertura ai concerti dei Cantovivo e frequentiamo il Folk Club (dove in quel periodo circolano artisti come Paolo Pietrangeli e Teresa De Sio). Michele Straniero, assieme a Fausto Amodei, è attivissimo superstite di quella straordinaria avventura politico-culturale di fine anni Cinquanta che fu appunto Cantacronache. Straniero è spesso invitato a cantare e parlare di musica popolare, ma di andarci da solo non ha più voglia; tra l’altro non guida più e in fondo gli fa piacere che due giovani appassionati al suo lavoro e avidi dei suoi racconti lo accompagnino in giro e suonino la chitarra per lui. La sera del 26 aprile l’Istituto storico della Resistenza di Cuneo ha organizzato un concerto nell’enorme chiesa di San Francesco. Abbiamo in scaletta non meno di venti canzoni a tema, dalla classica E quei briganti neri a canzoni ex post, come Dante di Nanni degli Stormy Six (che a Torino in quegli anni era ricantata dai Mirafiori Kidz). Nella città di Nuto Revelli, in quel momento ancora vivo, avevamo pensato ad alcune pietre miliari dello scrittore come La badoglieide e Paraloup. In realtà a cantare siamo soprattutto Daniele e io. Michele introduce i testi. La partecipazione fu ciò che più ci colpì: la chiesa era piena, ma più ancora erano affollate le vie della città per la fiaccolata che precedeva il concerto. E non era una fiaccolata all’insegna della nostalgia, perché c’erano i cittadini di Cuneo, di tutte le età. C’era le gente di una città che nel ventennio aderì massicciamente al fascismo, ma Cuneo e soprattutto la sua estesa provincia, subito dopo la caduta del regime fu la culla della Resistenza partigiana, sicché cantare Bella ciao da queste parti, nella Granda, è più significativo che altrove. Da queste parti vuol dire Alba, Treiso, Boves (bruciata due volte dai tedeschi) o val di Villa, dove anche quest’anno c’era la figlia di Beppe Fenoglio a celebrare la memoria di uno scontro tutto italiano immortalato dal padre nel Partigiano Johnny. Quest’anno Margherita Fenoglio ha letto una bella lettera in cui il padre chiedeva ufficialmente all’amministrazione albese di intitolare a Dario Scaglione una via (via Scaglione, ad Alba, si trova oggi in Borgo Piave).
Da quella sera cuneese sono passati vent’anni: Michele non c’è più, scomparso nel 2000, silenziosamente (anche troppo silenziosamente), mentre Daniele è ricercatore alla facoltà di informatica. Cuneo non è città di passaggio, se ci arrivi è perché la raggiungi espressamente e casa Delfino, grazie all’infaticabile avvocato Sartoris, è a servizio della città: si trova nel centralissimo corso Nizza. Vi si organizzano proiezioni e incontri culturali. Sartoris mi accoglie con molta ospitalità e dal balcone mi indica il punto esatto in cui Duccio Galimberti parlò ai cuneesi. Da lì il 26 luglio del 1943 Galimberti fece un discorso di una chiaroveggenza incredibile. C’è di più: c’è un altro balcone meno famoso, proprio di fianco a dove siamo affacciati, in cui Mussolini qualche anno prima parlò a sua volta, in virtù dell’amicizia tra il Duce e la famiglia proprietaria della sontuosa casa a lato di casa Delfino. Insomma, la piazza, oggi teatro a cielo aperto dell’animato mercato del martedì, è un fulgido Bignami di simboli della recente storia. Ma rientriamo in casa: ad assistere alla presentazione del libro ci sono meno di dieci persone; la concomitanza con un’altra presentazione davanti al luogo in cui mi trovo, in una delle librerie più frequentate della città, potrebbe essere la causa del deserto di sedie vuote che ho davanti. In realtà, più indicativo dei tempi che cambiano, è il racconto del 25 aprile di quest’anno. Cuneo brucia ancora? Sentiamo: quest’anno niente fiaccolata – mi racconta Sartoris – perché le autorità dell’amministrazione non volevano che le strade si macchiassero di cera. Inutile commentare certe prodezze, ma perlomeno al terrazzo di Galimberti c’è una sagoma che ne riproduce le fattezze in scala reale. E per qualcuno, sono certo, le sue parole non sono dimenticate.
L’indomani sono a Biella, altra città, come Cuneo, decorata con la medaglia d’oro al valor militare. La libreria Giovannacci è gestita da due fratelli figli di librai originari di Montereggio, comune lunigiano che sta all’officio librario come Cremona sta alla liuteria. La Giovannacci, non diversamente dalla pinerolese Volare dove due settimane prima ho iniziato il giro di presentazioni, è una di quelle librerie ben saldate al territorio, nella parte più centrale della città. Entrandoci, per puro caso c’è un musicista di strada che poco lontano sta suonando Bella ciao alla fisarmonica. A presentare il libro ci sono Enrico Strobino e Alex Gariazzo, esperti divulgatori di musica oltre che musicisti in proprio. Enrico, in fase di scrittura, mi ha indicato letture determinanti; Alex è uno dei migliori chitarristi blues in Italia e ora è impegnato nella promozione di un suo progetto solista, senza tralasciare l’inossidabile Fabio Treves, di cui è sideman fisso e con il quale a luglio aprirà il concerto romano di un certo Bruce Springesteen. La presentazione fila liscia e la gente fa domande interessanti. La sera, pochi chilometri sotto, siamo a Vigliano Biellese per ripresentare il libro, sempre con Strobino e Gariazzo, ma per non più di mezz’ora. Più che altro, la sera, si suona e si canta. Abbiamo una scaletta di canti partigiani e antifascisti, con qualche escursione internazionale come nel caso della portoghese Grandola, la Bella ciao lusitana di José Afonso, grazie alla quale gli antifascisti fecero sapere, radiodiffondendola, che il fascismo e la violenza finivano quella notte lì, la notte del 24 aprile 1974.
A Vigliano mi accoglie anche la sindachessa, Cristina Vazzoler, vivace piddina dai bei modi di fare che, regalo molto da primo cittadino, a fine concerto ci omaggerà di due libri a tema Resistenza. La notizia che vale la pena riportare, e ricordare per il futuro, è che di fianco a lei siede un ex alpino di centotré anni, Silvio Biasetti, partigiano che settantuno anni fa partecipò alla Resistenza. Vestito elegante, siede in prima fila e ascolta tutto il concerto; a volte, mentre canto mi viene istintivo rivolgergli lo sguardo: la sua presenza mi intimidisce un po’. C’è la sua foto sui giornali locali del giorno che hanno dato molto risalto alle celebrazioni del 25 aprile, anche perché il Presidente Mattarella ha scelto la Valsesia per quest’edizione. Già. Valsesia, Valsesia: è il titolo di una delle canzoni più sfacciatamente garibaldine del repertorio resistenziale (“Contro i tedeschi, repubblicani, combatteremo! Siam partigiani!”) e lo ricordo solo perché quest’anno il sindaco leghista di Corsico ha curato la selezione dei canti per le celebrazioni del 25 aprile. Si chiama Filippo Errante il sindaco del piccolo comune lombardo che ha vietato Bella ciao (“una composizione faziosa”). Come si chiamerà quello del prossimo anno? Me lo domando perché da un po’ di tempo, ogni anno, c’è qualche autorità che il 25 aprile se la prende con Bella ciao: nel mio libro ho isolato il recente caso di Pordenone, ma l’elenco avrebbe potuto essere lunghetto. Il risultato è che Corsico è stata invasa da ugole festanti che hanno intonato Bella ciao per tutta la mattinata.
Ma dicevamo di Valsesia, Valsesia che, assieme ad altri canti tipo La leggenda del Piave (con il 25 aprile c’entra come il sale nel caffè) il sindaco di Corsico permetteva, acconsentiva. Chissà perché… L’avrà scambiato per un canto padano, forse ispirato, ingannato, dal titolo? E La leggenda del Piave? C’entra niente, dicevamo, ma il buffo della serata viglianese è che a un certo punto, approfittando di un momento di silenzio, sentiamo da fuori delle voci di giovani che, con piglio un po’ curvaiolo, la cantano in coro, credendo probabilmente di svillaneggiare chi era dentro a cantare Fischia il vento e Bella ciao, tra la sindachessa, l’anziano alpino e le altre decine di persone accorse. La risata è scoppiata plateale.
Continuando a ritroso, le sorprese sono state altre ancora. Al Bardotto di Torino, il 20 aprile, la libreria era affollatissima: c’erano con me Emilio Jona e Franco Castelli, le massime autorità nazionali in fatto di ricerca del canto popolare, attualmente a capo fitto con un’antologia sui canti della grande guerra. Nel momento in cui si toccava il tema se Bella ciao sia stata cantata durante o dopo la Resistenza, una signora del pubblico si è alzata e ha offerto la sua testimonianza di ragazzina undicenne in quel di Alba, nei famosi “ventitré giorni” della Repubblica partigiana (riecco Fenoglio).
“Ero sfollata ad Alba con la famiglia. Mio papà era di “Giustizia e libertà” e portava la stampa clandestina da Torino ad Alba. Nell’ottobre 1944 ho assistito all’ingresso dei partigiani in piazza del Duomo ad Alba. Ero una bambina curiosa e attenta, e ricordo benissimo che si cantava Fischia il vento, ma anche una versione di Bella ciao al femminile, che faceva:
Una mattina mi sono alzata
– o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
una mattina mi sono alzata
e ho trovato l’invasor
O mamma mamma, io vado ai monti – o bella ciao…
o mamma mamma, io vado ai monti
a vendicare il mio amor
Il mio amore me l’hanno ucciso – o bella ciao…
il mio amore me l’hanno ucciso
perché era un partigian
Là sui monti c’è un cimitero – o bella ciao…
là sui monti c’è un cimitero
cimitero dei partigian
Cimitero dei partigiani – o bella ciao…
cimitero dei partigiani
morti per la libertà
Questo è quanto io ricordo, con tanta emozione!”
La preziosa testimonianza di Floriana Putaturo Diena, figlia di un antifascista e vedova di un partigiano, da anni abitante a Torino, ha lasciato tutti sorpresi e comunque rappresenta un altro tassello importante nell’incredibile ma “verosimile” storia mai finita di questo canto emblematico e ancora sorprendente. Alla fine le ho chiesto di firmarmi il libro. Lo sto chiedendo a tutti coloro che in questi giorni me lo presentano. Nell’ultima pagina ha scritto: “Grazie all’autore che mi ha consentito di far conoscere una canzone a me tanto cara. Floriana”.