Pianeta vuoto
Siamo troppi o troppo pochi?
Pianeta vuoto è un ambizioso e innovativo punto di vista su quello che sarà il nostro futuro demografico. - The New York Times Book Review
A lungo statistici, demografi e politici ci hanno detto che una popolazione in crescita porterebbe all’esaurimento le risorse della terra. Oggi, invece, un numero crescente di esperti fa risuonare un allarme diverso, sostenendo che la popolazione globale sta andando verso un rapido declino che in molti Paesi, come per esempio l’Italia, è già ampiamente iniziato.
John Ibbitson e Darrell Bricker, pur non trascurando i vantaggi di una diminuzione della popolazione umana, con questa appassionata indagine dimostrano però come, decrescendo, ci potranno essere rischi e ricadute sulla qualità della vita sul pianeta. Gli effetti si vedono già in Europa e in alcune parti dell’Asia, dove l’invecchiamento della popolazione e la scarsità di lavoratori indeboliscono l’economia e impongono scelte paralizzanti in materia di assistenza sanitaria e sicurezza sociale.
Non è vero che essere meno coincida con lo stare meglio, e per questo gli equilibri demografici devono mantenere alti i livelli di presenza umana in tutto il Pianeta. Le migrazioni diventano fondamentali per permettere una corretta distribuzione dell’essere umano sulla Terra.
Gli autori vanno in cerca, continente per continente, delle realtà demografiche, entrano nella vita delle persone per capire cosa spinga o meno ad avere figli, come incida la decrescita demografica e cosa succeda quando la popolazione invecchia senza un adeguato ricambio generazionale.
Rigoroso, narrativo, avvincente, Pianeta vuoto ci offre una visione su un futuro che non possiamo più impedire, ma che, se davvero volessimo, potremmo gestire in modo più saggio.
Leggi un estrattoA mano a mano che la popolazione diminuirà, accoglieremo con gioia o con dolore questo calo? Ci sforzeremo di mantenere la crescita o accetteremo serenamente un mondo in cui le persone prospereranno e soffriranno di meno? Non ci è dato saperlo. Ma un poeta potrebbe osservare che, per la prima volta nella storia della nostra specie, «l’umanità si sente vecchia».