Ecco i quattro cavalieri della violenza di genere: vergogna, isolamento, ridicolo, incredulità. - New York Times
Nel 1977 Una ha dodici anni. I ragazzi della sua età ascoltano punk o ska, invece lei sta imparando a suonare con la chitarra Mull of Kintyre dei Wings. È quella la musica che le piace.
In quegli anni, nello Yorkshire, la figura di un inafferrabile Squartatore miete vittime tra le donne occupando le prime pagine dei giornali. Alle ragazze si consiglia «di vestire in modo non appariscente», «di tornare a casa presto la sera», «di comportarsi in modo consono», in un assurdo cortocircuito secondo cui la colpa della violenza è da imputare anche alle vittime.
Dopo un episodio di abuso, Una, da ragazza sicura di sé, si trasforma e decide di imparare ad «abbassare lo sguardo» per allontanare l’attenzione dei ragazzi.
Sola, impotente e piena di una vergogna che la porta a credere di essere «guasta», la protagonista di questo struggente memoir è costretta a fare i conti prima con il mondo che non sa ascoltare, poi con le proprie ferite.
La storia di Una – il mio nome è Una, una di molte – deve confrontarsi con un contesto di misoginia strisciante, per trovare il modo e le parole di essere raccontata.
Mischiando stili, linguaggi e atmosfere il libro va oltre l’autobiografia ed esplora la responsabilità sociale di una cultura in cui l’arroganza maschile rimane incontrastata, mentre la solitudine in cui è lasciata la vittima è una nuova e continua violenza.
Questo libro è un urlo per conto di tutte le donne del mondo
Miglior memoir 2016, Oprah.com