La vita altrove, storie dall’Asia: Nicole Romanelli / Eliseo Barbàra
-di Ilaria Benini-
La vita altrove è una rubrica in cui andiamo alla scoperta delle storie di giovani italiani che hanno scelto di vivere in Asia – per un periodo o in pianta stabile –, alla ricerca di opportunità e felicità.
Abbiamo creato questa rubrica per costruire una rete ispirata dal nostro progetto editoriale Asia, che propone storie e saggi per avvicinarsi a regioni del mondo che stanno vivendo una trasformazione accelerata e travolgente.
Nuove aperture e maggiore libertà di espressione innescano opportunità di condivisione e scoperta: con le nostre pubblicazioni e iniziative intercettiamo l’energia in circolo nel mondo, attirando in Italia l’aria dinamica che si respira in paesi poco conosciuti, lasciandoci ispirare dalle strategie umane individuali e collettive che danno vita ai contesti asiatici.
Pensiamo che ogni vita possa essere fonte d’ispirazione creativa, una delle innumerevoli risposte alla curiosità per lo sconosciuto.
Grazie alla disponibilità di chi parteciperà alla nostra rubrica vogliamo offrire un modo vivo di esplorare l’Asia, una parte del nostro mondo.
C’è molto da scoprire, oltre le bacchette, le spiagge tropicali e le statuette di Buddha.
Nome
Nicole Romanelli
Età
27
Dove vivi?
Adesso a Roma, ma ho vissuto a Shanghai, Hangzhou e Kunming tra il 2011 e il 2015.
Come ci sei arrivata?
Sono arrivata a Shanghai la prima volta nel 2011 dopo aver vinto una borsa di studio con l’Università di Bologna. Nel 2013 ho deciso di tornare ad Hangzhou per studiare alla Zheda, 浙大 e finire il mio master. Poi ho deciso di spostarmi a Kunming per lavoro.
Cosa ti ha fatto restare?
Ci sono luoghi che hanno l’effetto di una droga. In Cina tutto ciò che non è stupendo è tremendamente brutto. Quando immagini di trovare l’eccezionale arrivano solo visioni da incubo e viceversa. Vivere in un paese che è un susseguirsi costante di contraddizioni crea dipendenza, un po’ come l’agrodolce.
Il punto è che aver vissuto in Cina non è come aver vissuto in altri paesi, alcuni dei quali anche più straordinari per certi versi: è il grande classico, l’immancabile racconto da tarda serata, lo Chanel n.5.
Cos’è stata per te l’Asia?
Ripensando a posteriori ai giorni passati in Asia, m’immagino una storia che ricorda i romanzi di formazione.
Ho vissuto in Cina in quel periodo in cui tutti cercano di capire cosa vogliono e dove stanno andando. Credo, come dice Calvino nelle Città Invisibili, «d’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Per me la Cina è stata esattamente questo.
Ci racconti un fatto quotidiano simbolico di quella che è stata la tua vita lì?
La stagione delle piogge, dai diari, Kunming 12 giugno 2015
Sì, vivo ai tropici. Ho sviluppato una dipendenza preoccupante da mangostano, lime e tamarindo. Poi ci sono le stagioni. Quest’anno ho quasi saltato l’inverno a piedi pari passando i mesi più freddi in Indocina e sono arrivata a Kunming all’inizio della primavera. Kunming si trova nello Yúnnán, 云南 che letteralmente significa a sud delle nuvole. Kunming è famosa in Cina per la frase 昆明天天是春天, Kūnmíng tiāntiān shì chūntiān cioè, «Kunming la città dove tutti i giorni è primavera».
Ho amato questi ultimi mesi di eterna primavera, quando di giorno è caldo e di sera c’è bisogno della copertina per dormire. Il cielo qui è blu, chissà dove hanno nascosto le polveri sottili.
Però. In Cina c’è sempre un però. A Kunming è sempre primavera, tranne d’estate, quando il clima, rimane mite, ma inizia la stagione delle piogge.
Io i monsoni li avevo visti solo nei film post-apocalittici o al telegiornale. Il monsone non è un temporale. Il monsone lo senti arrivare da lontano, cambia il vento, cambia l’odore dell’aria e vedi in lontananza un colore grigio fumo da cui si intravedono ancora i raggi del sole. Il monsone arriva d’un tratto.
Inizia a piovere, ma nel senso che la pioggia spacca il cielo, lo squarcia e batte forte nei vetri sottili delle finestre e nei tetti di lamiera.
Per chi non avesse mai vissuto in Cina deve sapere che non è un paese dalle mezze misure. Esistono due grandi categorie di edifici: quelli costruiti a cavallo delle riforme, di architettura sovietica e partoriti dalle menti poco preparate di ingegneri e architetti figli del proletariato; e quelli della nuova Cina, i grattacieli-monumento dell’Arricchirsi è glorioso che come una moderna torre di Babele s’innalzano senza paura verso il cielo.
Io vivo in uno 小区, xiǎoqū, complesso di case con cortile, molto carino vicino al lago in uno dei vicoli più vivaci della città. Credo che il mio palazzo sia stato costruito prima della morte del Chairman Mao da qualche architetto e ingegnere scalzo, termine utilizzato per indicare tutti quei professionisti non formati adeguatamente durante la rivoluzione culturale, quando l’istruzione era considerata borghese.
Per essere progettato da un non architetto, diciamo che il mio palazzo mantiene un certo decoro: seppur un pochino fatiscente, ha un cortile interno tutto colorato e la custode, in cinese 啊姨 A yí, tiene tutto pulito. Insomma, fa la sua figura rispetto a molti altri compound qui intorno.
Ma nonostante ciò, questi architetti e ingegneri scalzi, si beccano un bel po’ di accidenti quando arriva il monsone. La casa trema, per davvero.
Tutto sembra crollare da un momento all’altro, dalle pareti, alle finestre, fino alle ciotole di ceramica decorate di blu. Il monsone arriva nel tardo pomeriggio e di solito ci dà dentro fino a mattina: la notte insomma è tutta una festa.
So che non sono Dorothy e che i monsoni non mi porteranno via la casa, ma fidarmi dei professionisti del socialismo mi rimane sinceramente un pochino difficile. Dai tropici è tutto: cielo a pecorelle acqua a catinelle.
Nome
Eliseo Barbàra
Età
37
Dove vivi?
Bangkok
Come ci sei arrivato?
Nel 2011 lavoravo nell’editoria come agente fotografico, prima per un’agenzia di Milano e successivamente da indipendente.
Avevo la fortuna di lavorare con riviste importanti e grandi talenti della fotografia, perlopiù europei ed americani. Sentivo che non conoscevo affatto, dal punto di vista professionale e non solo, il continente asiatico.
Così mi presi tre mesi per andare ad esplorare di persona. Continuavo a lavorare con tre/quattro fotografi e potevo essere operativo ovunque.
Bangkok è stata una scelta di opportunità. Mi ero detto che avrei scartato Shanghai perché temevo fosse abbastanza satura, con troppi stranieri approdati lì. Il resto della Cina era troppo dispersiva.
Amici, molti italiani con alle spalle esperienze di più anni in Asia, mi avevano suggerito il Sudest Asiatico: soprattutto Singapore e Bangkok.
Singapore era sopra il mio budget. A Bangkok, invece, oltre ad essere molto più abbordabile economicamente, avevo un amico che poteva ospitarmi per tutta la durata dei tre mesi. Mesi in cui, oltre la Thailandia, ho visitato Singapore, la Cambogia e il Laos.
Cosa ti fa restare?
In Italia era diffuso un sentimento pessimistico e un po’ timoroso. Dinamismo, continua e rapida evoluzione, opportunità accessibili mi hanno convinto a provare a fare qualcosa di mio a Bangkok.
Cos’è per te il paese asiatico in cui vivi?
Difficile definire l’Asia, per me è impossibile. Riguardo alla Thailandia, e soprattutto alla città di Bangkok, direi che è brava a farsi amare ed odiare nello stesso tempo. Ha poche aree grigie, è nero o bianco. Bisogna sapersi adattare, ma questo vale per qualsiasi persona che decida di trasferirsi in un paese straniero.
Ci racconti un fatto quotidiano simbolico della tua vita lì?
Ho da poco avuto una bambina, Sofia.
Anche se ancora piccola, mi incuriosisce molto sapere come crescerà con un padre italiano ed una madre thailandese con origini cinesi.
Di cosa ti occupi in Asia?
Ho una società di digital marketing, MOST 2414 con cui abbiamo collaborato anche con noti marchi italiani per strategie di comunicazione rivolte ad un target del Sudest Asiatico.
Ho anche una galleria di fotografia, MOST Gallery.