C’è qualcosa di antico e di intimo nel rapporto che abbiamo con l’acqua, che si sia principianti o campioni olimpici. Lì dentro, nell’ambiente apparentemente protettivo del liquido, si sconta una solitudine che può essere perfezione ma anche un muro di silenzio.
Cristina Chiuso, più volte primatista italiana e capitana della nazionale italiana, ha dedicato la vita al nuoto come atleta, insegnante e poi come giornalista, non solo trasformandolo in una professione, ma studiandolo come fenomeno culturale, sociale e mentale. Parte da qui il suo racconto di cosa vuol dire nuotare, in un libro che abbraccia autobiografia, storia, femminismo, psicologia, passando dalle piscine olimpiche alle acque aperte, dagli aneddoti di campioni e campionesse al legame di odio e amore che un atleta instaura con il proprio corpo.
Da queste pagine esce un ritratto a tutto tondo di uno sport che sa essere totalizzante e trasformarsi in un modo di vivere e di vedere il mondo. Spesso da soli, e sempre con la testa sott’acqua.
Leggi un estrattoSe penso a come ho affrontato i momenti difficili, mi rivedo infilare costume e cuffia per tuffarmi, nel tentativo di nuotare più veloce possibile, con gli occhialini a volte pieni di lacrime o urlando sott’acqua dove nessuno mi avrebbe sentito. Che fosse rabbia, tristezza o ansia, quella era sempre stata la mia unica via; ancora oggi, ogni volta che succede qualcosa che fatico a gestire, il primo istinto è cercare l’acqua per trovare silenzio e rifugio dal frastuono del mondo.